Arrestata la preside del ‘Giovanni Falcone’: “Rubava cibo e pc dalla scuola”

PALERMO – All’istituto comprensivo ‘Giovanni Falcone’ dello Zen di Palermo esisteva “un radicato e unitario centro di interessi illeciti formato dalla preside, dal vicepreside e da professionisti privati”. Lo sostengono i carabinieri, che hanno arrestato la dirigente scolastica Daniela Lo Verde, insieme ad altri due indagati, con le accuse di corruzione e peculato.

L’INDAGINE DEI CARABINIERI ALLO ZEN DI PALERMO

Generi alimentari e computer “costantemente prelevati” dalla scuola e usati “per proprie ed esclusive necessità”. L’indagine sulla preside della scuola ‘Giovanni Falcone’ dello Zen di Palermo ha fatto emergere quella che i carabinieri definiscono “una gestione dell’istituto volta a curare interessi di natura meramente personale, anche con riguardo alle procedure di acquisto e fornitura di generi alimentari per il servizio di mensa”.

Nell’ufficio della presidenza, dove la dirigente scolastica Daniela Lo Verde, finita ai domiciliari, svolgeva la propria attività, i militari hanno documentato la presenza di “una cospicua quantità di generi alimentari” e di “costosi dispositivi informatici – è la ricostruzione fatta dai carabinieri – destinati agli studenti”.

Risorse destinate alla scuola di uno dei quartieri più degradati di Palermo e che sarebbero stati “costantemente prelevati dalla preside e dal suo vice per proprie ed esclusive necessità”. Le indagini, coordinate dai procuratori europei Calogero Ferrara e Amelia Luise, hanno acceso poi i riflettori sulle forniture dell’istituto.

La dirigenza della scuola, secondo i carabinieri, avrebbe affidato stabilmente, “contra legem”, la fornitura di materiale tecnologico a una sola azienda: alla base ci sarebbe “un accordo corruttivo volto all’affidamento di ulteriori e importanti commesse in cambio di molteplici illecite dazioni di strumenti tecnologici di ultima generazione”.

I militari della sezione Eppo (European public prosecutor’s office) del Nucleo investigativo di Palermo parlano di “condotte particolarmente gravi da parte dei due pubblici ufficiali alla luce della loro completa adesione a logiche di condotta meramente utilitaristica, della strumentalizzazione dell’azione amministrativa”.

C’era, secondo gli investigatori, una “vocazione a ritenere la pubblica amministrazione come un pozzo dal quale attingere costantemente qualsivoglia utilità, dagli strumenti tecnologici di ultima generazione ai generi alimentari”.
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