Anla: “No al lavoro nero e precario, sì al lavoro dignitoso”

Lavoro povero è una condizione indegna per un paese civile

Roma, 27 apr. (askanews) – “È tradizione che ANLA consegni il suo messaggio pubblico nel giorno della festa del Primo maggio: da decenni è l’occasione per mettere a fuoco le sfide che attraversano il mondo del lavoro. Per farlo quest’anno facciamo nostro il tema del discorso che Papa Francesco ha rivolto ai dirigenti dell’Inps agli inizi di aprile: no al lavoro nero e precario, sì al lavoro dignitoso”: lo afferma il presidente dell’Associazione Nazionale Lavoratori Anziani (ANLA) Edoardo Patriarca, alla vigilia della Festa del Lavoro.

Il presidente Patriarca si sofferma sulla situazione attuale: “Il mondo del lavoro è attraversato da una fase storica complessa, coinvolto in cambiamenti strutturali assai profondi come l’invecchiamento della popolazione, l’accelerazione tecnologica, la delocalizzazione produttiva avvenuta nei decenni scorsi, il disinvestimento formativo sulle nuove generazioni. Non solo, il lavoro è coinvolto in un vero e proprio smottamento culturale determinato dal riposizionamento del valore-lavoro rispetto alle altre dimensioni della vita. La profezia di Fourastié forse si è avverata: ‘i problemi del lavoro dovranno essere pensati daccapo nella prospettiva stessa della vita. Daccapo l’uomo chiederà al suo lavoro un modo di essere, un modo di esistere’. Di fronte a questa transizione le risposte non sono state sempre all’altezza del dettato costituzionale: il lavoro nero, il lavoro precario e povero dilagano nel nostro paese colpendo soprattutto giovani e donne sempre più esposti a forme di sfruttamento, e immersi in una precarietà permanente che impedisce scelte di vita durature e fiduciose nel futuro. La tanto evocata ripresa post pandemia in realtà è avvenuta attraverso forme atipiche di contratti e con periodi di occupazione inferiori a un anno, alternati a momenti di inattività o disoccupazione”.

Ferma la presa di posizione: “Lo diciamo con chiarezza, il lavoro povero è una condizione indegna per un paese civile: vanno garantiti un salario legale decente, la riforma sugli ammortizzatori sociali e delle politiche attive, la sicurezza sul lavoro, l’ampliamento del metodo concertativo a livello territoriale, lo studio di nuove forme di partecipazione dei lavoratori alla gestione dell’impresa come prevede l’art.46 della Costituzione”.

Il presidente Patriarca e l’ANLA si pongono in ascolto delle esigenze e delle richieste delle giovani generazioni: “Nonostante un tempo presente fragile e confuso, i giovani non sono così ingenui e sprovveduti: chiedono al lavoro un contenuto motivazionale e relazionale più profondo, domandano pressantemente l’armonizzazione dei tempi di lavoro e di famiglia, più lavoro in gruppo e la condivisione dei progetti di sviluppo aziendali, una retribuzione che permetta una vita personale e familiare decorosa, una buona reputazione aziendale sociale e ambientale, la formazione continua e l’imparare facendo e, non ultimo, relazioni interne fondate su responsabilità condivise e fiducia reciproca. Un vero e proprio manifesto sul lavoro dignitoso che trova nel fenomeno della big quit, vale a dire il dilagare delle dimissioni volontarie tra le nuove generazioni alla ricerca di una occupazione più aderente ai propri valori, la manifestazione più clamorosa. Il significato di una vita lavorativa dignitosa è enunciato con chiarezza anche negli articoli della nostra Costituzione: se vengono a mancare questi capisaldi di umanità l’impresa da bene-comune si fa luogo nel quale la fanno da padroni lo sfruttamento, il profitto ottenuto-non- importa -come, il lavoro da estrarre senza remore e rispetto della dignità delle persone”.

Da tutto ciò, il presidente Patriarca avanza una proposta: “Si parla spesso di industria 4.0. Noi rilanciamo con Impresa -5.0.-bene-comune, una azienda che ha come focus non solo il “cosa fare” (i prodotti/servizi, i mercati, le tecnologie, etc…un aspetto certo importante), ma anche il “perché lo fa” (fare impresa è un’arte, una vocazione, non è solo un mestiere), e “come lo fa ” (il benvivere, i rapporti con i dipendenti e tra le generazioni, i clienti e i consumatori, i fornitori, la comunità). Per riprendere Fourastié, il lavoro è una esperienza innanzi tutto valoriale, prima ancora che economica: “l’uomo vive mentre lavora, ed è vano sperare in una umanità che sopravviva come tale se la ricerca degli obiettivi economici a breve o medio termine mutilano l’uomo nel lavoro, nella sua dignità e nella sua fede nella finalità del mondo. Buon primo maggio”.