Un cambiamento necessario

Nella giornata di mercoledì 1 febbraio è stato ritrovato nei bagni dell’Università IULM di Milano il corpo senza vita di una giovane studentessa. Il collo stretto da una sciarpa, l’altro capo legato ad una porta. Nessun segno di violenza ed un bigliettino, trovato nella borsa, che lascerebbe pochi dubbi sulle cause del decesso: suicidio.

All’interno del bigliettino, oltre che menzionare differenti inquietudini personali che prescindono dallo studio, la giovane si scuserebbe con i genitori per le spese universitarie alle quali avevano dovuto far fronte e per i fallimenti nell’iter didattico, riferendosi, nel dettaglio, ad un esame non sostenuto il giorno precedente.

Nell’attesa che gli inquirenti concludano le indagini, tale disgrazia, avvenuta all’interno di una sede universitaria, ha risollevato un sentito dibattito sul sistema accademico del nostro paese, considerando che il suicidio della studentessa milanese, purtroppo, non rappresenta un unicum in Italia. È doveroso, di conseguenza, dibattere sull’argomento “istruzione e formazione”.

Sono tanti, troppi i casi di liceali o universitari che si sono tolti la vita per divergenze o problematiche legate allo studio: basti pensare al giovane alunno diciasettenne di Roma, che nel luglio del 2019 si uccise dopo contrasti con il professore di matematica (indagato) che, secondo le testimonianze degli alunni, lo umiliava quotidianamente.

Più recenti temporalmente le dipartite di due universitari, rispettivamente di Napoli e Bologna; in entrambi i casi, tremendamente simili, i giovani prima di porre fine alle loro esistenze avevano mentito in merito ai risultati accademici.

Ad aumentare il carico di mestizia che accompagna queste immani tragedie ci sono i dati dell’Istat, secondo i quali in Italia il 5% dei suicidi sono compiuti da ragazzi che hanno meno di 24 anni, la maggior parte di essi studenti.

Si è chiesto, dunque, un repentino cambiamento di rotta. Da sempre il sistema universitario e scolastico italiano si presentano vetusti e obsoleti, ancorati allo scandagliare le “matricole” secondo grigie griglie di valutazione, dai più bravi ai meno capaci.

Non solo, il rapporto tra professori e studenti risulta stantio, soffocato da un muro di incomunicabilità; gli insegnanti vengono considerati “estranei” e questo fa sì che non si crei alcuna empatia.

Ci si auspica quindi un’evoluzione degli organismi universitari e scolastici per favorire gli studenti non al conseguimento di ottimi risultati (non deve essere intaccata la meritocrazia) ma con il fine di sorvegliarli e sostenerli emotivamente e psicologicamente.

Quante ulteriori giovani vite dovremmo perdere prima che si inizi, concretamente, un processo di riforma, affinché nessuno resti indietro nella marcia verso il mondo del lavoro e venga schiacciato.

Non è solo a livello istituzionale che è necessario intervenire. Tutta la società deve maturare, compiere un passo in avanti verso uno sviluppo imprescindibile, ovvero svincolarsi dalle catene soffocanti della competitività esasperata e perniciosa.

La laurea, così come i risultati professionali, sono risultati positivi da lodare ma socialmente non devono in alcun modo raffigurare uno strumento per la legittimazione dell’individuo, prezioso a prescindere da ciò che ha o ciò che consegue.

Nel triste ricordo di questa giovane studentessa e nell’augurio che possa essere l’ultimo sogno spezzato da rimpiangere, invochiamo a gran voce un radicale cambiamento, per non dire ancora una volta “è troppo tardi”.

Ciro Cuccurullo