La tregua in Sudan non regge: proseguono i combattimenti tra l’esercito e i paramilitari

Soprattutto nella regione del Darfur. Oltre 500 i morti nei combattimenti

Roma, 28 apr. (askanews) – I combattimenti in Sudan proseguono a Khartoum e soprattutto nella regione del Darfur, malgrado il prolungamento della tregua conclusa tra esercito e paramilitari che stanno conducendo una guerra che ha provocato la morte di oltre 500 persone in quasi due settimane. Poco prima dello scadere a mezzanotte (ora locale) di un cessate-il-fuoco di tre giorni quasi mai rispettato dalle due parte, l’esercito del generale Abdel Fattah al-Burhane e le Forze di Supporto rapido (FSR) del generale Mohamed Hamdane Daglo, noto come “Hemedti”, hanno annunciato di aver approvato una proroga della tregua per 72 ore.

In un comunicato congiunto diffuso a Washington, i membri del “Quad” sul Sudan (Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Regno Unito e Stati Uniti), oltre che l’Unione Africana e le Nazioni Unite, hanno giudicato “benvenuta” questa proroga della tregua e chiesto “la sua piena attuazione” e “l’accesso umanitario senza ostacoli”.

Ma dall’inizio del conflitto il 15 aprile, che ha provocato anche migliaia di feriti, la capitale Khartoum è bombardata ogni giorno da aerei dell’esercito e artiglieria pesante paramilitare. Altre città sono state colpite dai combattimenti, in particolare nella regione del Darfur (ovest) al confine con il Ciad. Avvocati e medici in Sudan hanno lanciato l’allarme per il Darfur devastato da combattimenti mortali che non si attenuano a dispetto della tregua.

A El-Geneina, capitale del Darfur occidentale, i combattenti hanno tirato fuori “mitragliatrici, mitragliatrici pesanti e macchine antincendio antiaeree” e “razzi sparati contro le case”. L’Onu ha da parte sua indicato che “sono distribuite armi” ai civili. Le violenze sono aumentate dopo la partenza degli stranieri, ha sottolineato il sindacato dei medici, denunciando una “strage” che ha provocato “decine di morti e feriti”. Circa 50mila bambini “affetti da malnutrizione acuta” sono privati degli aiuti alimentari in Darfur, ha avvetito l’Onu, che ha sospeso le sue attività nella zona dopo la morte di cinque operatori umanitari all’inizio dei combattimenti.

Poche informazioni filtrano da questa regione dove una guerra civile iniziata nel 2003 tra il regime di Omar el Bashir, deposto nel 2019, e ribelli delle minoranze etniche ha provocato circa 300mila morti e quasi due milioni e mezzo di sfollati, secondo le Nazioni Unite. Smorzando le speranze di una transizione democratica, i due generali ora rivali avevano estromesso i civili dal potere durante un colpo di stato nel 2021. Ma non sono riusciti a concordare l’integrazione dei paramilitari nell’esercito, prima di entrare in guerra il 15 aprile.

A Khartoum, gli abitanti di questa città di cinque milioni stanno cercando di fuggire con ogni mezzo. Non c’è più acqua corrente né elettricità, mentre rete internet e linee telefoniche funzionano a intermittenza. La benzina sta finendo e anche il denaro contante. “Burhane e Hemedti devono fermare immediatamente questa stupida guerra che si sta portando avanti sulle spalle dei civili ovunque in Sudan e in particolare a El-Geneina e Khartoum”, ha sottolineato l’ordine degli avvocati.

I combattimenti hanno provocato un esodo di massa in questo Paese di 45 milioni di abitanti, uno dei più poveri del mondo. Diverse decine di migliaia di persone sono già arrivate nei Paesi vicini, in particolare l’Etiopia a est e l’Egitto a nord dove, secondo le autorità egiziane, sono arrivati oltre 14mila sudanesi e 2mila cittadini di altri Paesi. Un totale di 270mila persone potrebbero fuggire in Ciad e Sud Sudan, secondo le Nazioni Unite.

Gli stranieri, dal canto loro, adesso partono più spesso via mare: una nuova nave saudita è così arrivata ieri sera nella città portuale di Gedda (ovest), portando a 2.744 il numero delle persone evacuate da Riad. Molti Paesi in tutto il mondo, compresi Stati Uniti, Cina, Francia e Regno Unito, hanno evacuato i propri cittadini dal Sudan negli ultimi giorni.