Il “racconto di primavera” di Ciro Cuccurullo

Il romanzo dello scrittore napoletano pubblicato da “Intrecci”

Questo racconto è la primavera della scrittura letteraria dell’autore. La narrazione in prima persona sboccia con un sentore autobiografico affiorante dall’inconscio, non nel senso che il protagonista sia uno speculare alter ego del nostro scrittore, ma nel senso che il nostro scrittore ha inserito suoi valori positivi in una figura errante nel mare di un’esistenza inquieta alla ricerca di un proprio approdo interiore.

In fondo tutti gli scrittori narrano aspetti di sé stessi e nel narrarsi raffigurano la complessità del reale. Ciò accade in modo particolare quando si affronta la tematica amorosa, come in questo caso avviene. Qui l’introspezione memorialistica dell’io narrante si manifesta ai lettori nella forma definita da José Ortega y Gasset in uno dei suoi Saggi sull’amore, quello riferito alla scelta:

“Nella scelta dell’amata e in quella dell’amato, l’uomo e la donna rivelano la loro indole essenziale. Il tipo di umanità che preferiamo nell’altro essere traccia il profilo del nostro cuore.

L’amore è un impulso che emerge dalla profondità della nostra persona e che, arrivato alla superficie visibile della vita, trascina con sé, come un’alluvione, alghe e conchiglie dell’abisso interiore. Un buon naturalista, catalogando questi materiali, può ricostruire il fondo pelagico da cui sono stati strappati.”

Fin dall’incipit del racconto l’autore rivela l’intenzione del personaggio di coinvolgere nella sua vicenda i lettori:

“Se foste interessati e pazienti, vi racconterò volentieri di alcuni giorni della mia non straordinaria esistenza, particolarmente intensi.”

Il trentatreenne Tommaso rievoca in forma di confessione eventi della sua avventura interiore avvenuti allorché era un venticinquenne in procinto di laurearsi in Lettere a Napoli e custoditi gelosamente nel suo animo.

L’evento supremo è l’innamoramento per Beatrice (nome suggestivo anche perché la vicenda si sposta poi da Napoli a Firenze). Il sociologo Francesco Alberoni si chiede quale differenza ci sia fra infatuazione, colpo di fulmine, innamoramento, ossessivo ma anche superficiale, per una persona, e l’amore vero. Ebbene, nel caso di Tommaso l’amore si manifesta come folgorazione: “Mi innamorai appena la vidi […] L’amai dal primo istante”.

Ormai adulto, Tommaso conserva in sé tratti di una vita da adolescente dei nostri tempi, non esente da vizi e difetti, forse anche non lontano dalla soglia dell’abiezione, proteso però a riscattarsi in nome di quel suo sentimento erotico che con prepotenza lo possiede, passando indenne attraverso diverse vicende fra incontri con altre figure sia maschili che femminili sullo sfondo di paesaggi naturali e ambienti urbani rievocati icasticamente.

Da una quotidianità vissuta sul piano dell’esistenza banale si eleva il suo slancio verso un’esistenza autentica, che per lui non culmina nello stadio religioso teorizzato da Søren Kierkegaard, ma resta proteso verso il riscatto nell’amore come unico rimedio all’angoscia.

Un’angoscia che gli accade di condividere anche con altri, come nel caso dell’incontro con Elisabetta. Costei, avendo percepito la sua tristezza e appreso che questa derivava dall’essersi lasciato con la sua fidanzata, riesce a indurlo a confidarsi con lui, per poi prorompere in tremende invettive contro di lei: “Iniziò gesticolando follemente; correva avanti e indietro, baccagliava, latrava, roteava le braccia, per inveire – poi – contro Beatrice con termini scurrili, che mi ferirono […]”

Sennonché Tommaso, che si era sentito pronto perfino a uccidere chi avesse oltraggiato il suo ricordo di Beatrice, scopre poco dopo che fra lui e l’invasata sussiste un legame di comune umanità:

“Elisabetta mi raccontò la storia della sua vita. Una vita difficile, colma di sofferenze e provinciali pregiudizi, che l’avevano condotta all’instabilità mentale. Capii che non era cattiva, tutt’altro. Era un’anima buona che la sofferenza aveva prima piegato e poi spezzato […]”

Abbiamo ricordato questo episodio fra i tanti per dare un assaggio minimo della qualità della scrittura del nostro autore, capace di coniugare con stile inferno e paradiso nella rappresentazione di ciò che si cela nell’animo umano.

Non a caso, d’altronde, il personaggio è una persona colta, che alla propensione per il fumo, l’alcool, il sesso unisce la passione per la letteratura, soprattutto per la narrativa, e paragona altresì il suo frustrato tentativo di ritorno a Beatrice a un viaggio analogo a quello dell’eroe omerico errante o a quello del cantore del pio Enea assurto a maestro di Dante:

“Un’impresa senza ricompensa, se non piedi dolenti, scarpe rotte, cuore infranto. Un ritorno a Itaca, ma senza Penelope. Un viaggio con Virgilio, non verso il Paradiso ma diretto all’ultimo girone dell’Inferno […]”

Eppure in quello che potremmo chiamare Voyage au bout de la nuit, prendendo a prestito da Louis-Ferdinand Céline il titolo, la persistenza della memoria si ostina a mantenere acceso il sole del passato, come se fosse eterno, in una sorta di speranza retrospettiva, che riesce a trovare nella dannazione il suo riscatto.

Biagio Scognamiglio