Il calo dell’inflazione in Germania rischia di spiazzare la Bce

Economia frena e effetti stretta non si sono ancora tutti dispiegati

Roma, 29 nov. (askanews) – L’inflazione in Germania cala ancora a novembre e lo fa più del previsto. Al punto che alcuni analisti ora ipotizzano che la Banca centrale europea possa ritrovarsi spiazzata nella sua manovra di inasprimento monetario: potrebbe aver alzato i tassi di interesse più del necessario.

Secondo i dati preliminari pubblicati da Destatis, l’agenzia federale di statistica tedesca, a novembre l’indice generale della crescita dei prezzi al consumo si è attenuato al 3,2% su base annua, a fronte del 3,8% di ottobre. L’indice armonizzato con il resto dell’Unione europea ha segnato un 2,3% annuo, dal 3% di ottobre.

In un mese i prezzi hanno registrato un calo dello 0,4% in Germania e se si usa l’indice armonizzato il resto dell’Ue il calo risulta pari allo 0,7%.

Secondo gli esperti della banca olandese Ing questo fenomeno non si sta verificando solo nella prima economia dell’area euro, ma in tutti i suoi paesi. “La Bce – affermano in una nota di commento ai dati – ora corre il rischio di sottovalutare lo slancio disinflazionistico così come due anni fa ha sottovalutato lo slancio inflazionistico”.

L’istituzione monetaria ha operato nei mesi passati la manovra di inasprimento più aggressiva dei suoi quasi 25 anni di storia, alzando i tassi di riferimento di 4,50 punti percentuali e drenando massicciamente liquidità, principalmente richiamando fondi che erano stati immessi nell’economia tramite prestiti agevolati al sistema bancario (Tltro).

Adesso, “con una prospettiva economica che si indebolisce e disinflazione, altri aumenti dei tassi dovrebbero essere esclusi alla prossima riunione”, proseguono gli analisti di Ing. E dato che il pieno impatto dell’inasprimento già operato si dispiegherà nei prossimi mesi “c’è anche il rischio che la Bce abbia aumentato troppo i tassi”.

“Ad ogni modo per ora – concludono – alla riunione di dicembre ci attendiamo che per usare le parole della presidente Christine Lagarde si eviti anche solo menzionare la parola taglio dei tassi. Piuttosto la Bce cercherà di influenzare le aspettative di mercato, mettendo in guardia dalle difficoltà nel percorrere l’ultimo miglio” del processo di rientro dell’inflazione.

Ma in pratica, rischia di materializzarsi quel rischio di “fare troppo” in termini di stretta monetaria sul quale, pure, alcuni esponenti minoritari del Consiglio direttivo avevano lanciato allarmi. Tra cui, più volte, l’ex governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco e il suo successore, Fabio Panetta che domattina interverrà, per la prima volta in presenza, a un evento pubblico, al convegno per il 60esimo anniversario della costituzione di Iccrea.

Sul versante opposto, oggi l’Ocse ha raccomandato alle banche centrali (non solo la Bce) di mantenere una linea restrittiva. “Perché ci sono chiari segnali che le pressioni sull’inflazione persistono e in molte economie l’indice generale di inflazione resta al di sopra del valore obiettivo delle banche centrali”, ha affermato il segretario generale dell’ente parigino, Mathias Cormann durante la conferenza stampa di presentazione dell’Economic Outlook.

“Politiche restrittive non significa per forza aumento dei tassi”, ha puntualizzato Cormann, spiegando che ci si attende piuttosto che le banche centrali mantengano gli attuali livelli del costo del denaro abbastanza lungo. E che per questo le attese dell’Ocse su un primo possibile taglio dei tassi della Federal Reserve, unicamente solo nella seconda metà del 2024, risultano più distanziate rispetto a quelle dei mercati, che prevedono invece un taglio più anticipato.

La Bce punta a un tasso di inflazione al 2% sul medio termine e nelle sue previsioni – che verranno aggiornate in occasione del Consiglio direttivo del 14 dicembre – questo livello verrebbe quasi raggiunto nel 2025. Secondo le stime pubblicate oggi dall’Ocse in quell’anno l’inflazione media nell’area euro dovrebbe attestarsi al 2,3%.