Elezioni Perù, ecco perché dai contadini dipende il futuro del paese

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ROMA – Per capire dove va il Perù in vista del ballottaggio delle presidenziali del 6 giugno bisogna osservare da vicino le regioni rurali del Paese, che hanno dato i natali a uno dei due candidati, Pedro Castillo, e che non a caso sono state il teatro del primo dibattito faccia a faccia con la sfidante Keiko Fujimori.

È il punto di vista di Jorge Chavez, ingegnere ambientale e attivista di base a Lima ma nativo della Cajamarca, la regione settentrionale dove le Ande degradano nell’altopiano e dove è nato Castillo. L’intervista con Chavez si svolge dopo un confronto elettorale tra i due candidati usciti vincitori dal primo turno, che si è tenuto nella cittadina di Chota, proprio in Cajamarca. A dispetto di quanto previsto dalla stragrande maggioranza dei sondaggi che hanno anticipato il voto del 12 aprile, Castillo è infatti arrivato primo ottenendo il 19,3 per cento delle preferenze.

Fujimori, figlia dell’ex presidente Alberto, al potere tra il 1990 e il 2000, al terzo tentativo alla presidenza dopo le elezioni del 2011 e del 2016, è giunta seconda con poco più del 13 per cento delle preferenze. Era stata rilasciata di prigione nel maggio 2020 per motivi di salute mentre scontava una condanna preventiva a 15 mesi con l’accusa di aver ricevuto finanziamenti illeciti dalla multinazionale brasiliana Obredecht durante la campagna elettorale nel 2011. Chavez dice che il confronto tra i due è stato caratterizzato da un paio di uscite “iconiche e già virali” di Fujimori, che ha involontariamente mostrato il proprio atteggiamento nei confronti delle zone lontane dalle grandi città. “A un certo punto la candidata ha detto senza neanche accorgersene ‘mi e’ toccato venire fino a qui’” ricorda l’attivista; “Lo ha detto in un modo che ha fatto subito capire a tutti quanto considerasse recarsi in Cajamarca una sorta di ‘peso’”. Secondo Chavez, “questa frase riassume tutto il suo classismo”.

E proprio dal rifiuto e dalla “noia” nei confronti di una classe politica “ricca e potente”, dice l’attivista, freelance specialista nella gestione delle risorse idriche e nel settore estrattivo, che sarebbe venuto fuori il voto per Castillo: “Maestro e leader sindacale ha raccolto le preferenze di un mondo che sente di essere stato completamente dimenticato dalla politica”. Una vicinanza che gli elettori più a sinistra del Perù non hanno invece sentito con il candidato che i sondaggi indicavano come favorito a rappresentarli al ballottaggio, Veronika Mendoza, di Juntos por el Perù, che alla fine ha ottenuto solo il 7,8 per cento dei voti.

Secondo Chavez, “Mendoza ha un’agenda progressista e viene dalla città, mentre Castillo porta avanti istanze molto più popolari e radicali che hanno colto nel segno”. Juntos por el Perù e il partito di Castillo, Perù Libre, sono divisi in modo deciso sui temi dell’uguaglianza di genere e della bioetica. Nonostante questo, hanno raggiunto un accordo per fare fronte comune al secondo turno, con l’obiettivo di abbattere il fujimorismo. Secondo Chavez, però, l’eredità del padre potrebbe servire a Keiko nelle regioni rurali: “In molti ricordano ancora i programmi lanciati tra il 1995 e il 2000 da Fujimori senior, che portavano sussidi molto concreti, dalle strumentazioni alle sementi”.

Ci sarebbe poi una premessa importante. “La politica del Perù è estremamente volatile” sottolinea Chavez: “È impossibile capire cosa accadrà”. Nonostante questa osservazione, l’attivista un’idea sul destino di Castillo se l’è fatta, tornando col pensiero alla sua Cajamarca: “La sua parabola mi ricorda quella di Gregorio Santos, ex governatore della regione tra il 2011 e il 2014, professore e agricoltore, che vinse con un programma incentrato sulla lotta ai grandi potentati politici ed era sostenuto dai contadini. Prima di essere rieletto a un secondo mandato venne arrestato per corruzione. Non mi stupisce se a Castillo succedesse qualcosa di simile”.
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