Confartigianato lancia l’allarme fisco: tax spread Italia-UE a 28,8 mld

Oneri alti frenano la corsa delle 4,5 milioni di micro e piccole imprese 

Tasse, costi finanziari, alti costi energetici, burocrazia, oneri amministrativi, disoccupazione: sono alcuni dei pesanti fardelli che frenano il progresso delle 4,5 milioni di micro e piccole imprese italiane pronte a reagire sul fronte del lavoro, del sostegno e dell’export.

Tra il mese di novembre 2023 e gennaio 2024 copriranno il 59,6% del totale delle assunzioni previste dalle imprese, il 66% è impegnata a ridurre l’impatto sull’ambiente della loro attività, le loro esportazioni valgono 60,3 miliardi.

È quanto emerge dal rapporto presentato da Confartigianato all’Assemblea Generale, che traccia un quadro sfavorevole per gli imprenditori che cercano di affrontare la ripresa. Innanzitutto, c’è la pressione fiscale: nel 2023, le tasse che graveranno sui cittadini e sulle imprese italiane saranno 28,8 miliardi in più rispetto all’Eurozona e 488 euro in più pro capite.

L’anno scorso, le PMI italiane hanno pagato l’elettricità il 35,6% in più rispetto alla media europea e il gas il 31,7% in più rispetto alla media UE. A causa della stretta monetaria e degli alti tassi di interesse, le PMI hanno pagato 7,4 mld in più di costi finanziari tra luglio 2022 e luglio 2023.

L’impatto della burocrazia sugli investimenti delle imprese è anche una perdita di risorse, pari allo 0,82% del PIL, equivalente a 16,8 mld di mancata crescita quest’anno. Secondo un indice elaborato da Confartigianato sulla maggiore pressione che la burocrazia esercita sulle imprese, l’Italia si colloca al 3° posto tra i 27 Paesi UE, dopo Romania e Grecia, e al di sopra della Francia (4° posto).

Il divario tra scuola e lavoro è alla base della carenza di lavoratori qualificati, con 1,4 milioni di lavoratori difficili da trovare entro il 2022, sta ostacolando gli sforzi degli imprenditori che cercano di recuperare il ritardo nella ripresa.

I ‘talenti perduti’ e il costo della difficoltà nel trovare lavoratori per le piccole imprese ammontano a 10,2 miliardi di euro di perdita di valore aggiunto a causa di posti di lavoro rimasti vacanti per più di sei mesi.

Tutto questo è un enorme spreco, rappresentato da 1,5 milioni di giovani tra i 25 e i 34 anni che non si impegnano nel mercato del lavoro. Questo dato fa sì che l’Italia abbia il record negativo nell’Unione Europea per quanto riguarda il numero di giovani inattivi.

Ciro Di Pietro

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