giovedì, Ottobre 17, 2024

Il ricercatore ortopedico “più influente al mondo” è un napoletano che lavora a Roma

SanitàIl ricercatore ortopedico “più influente al mondo” è un napoletano che lavora a Roma

NAPOLI – Lui si chiama Nicola Maffulli, professore ordinario dell’Università Sapienza di Roma, ed è stato indicato dalla Stanford University come il ricercatore più influente al mondo nel campo dell’ortopedia e della medicina dello sport. In un’intervista all’agenzia Dire, interpellato circa il futuro della ricerca nel nostro Paese e in Europa, racconta: “Ormai in qualsiasi Paese occidentale è sempre più difficile fare ricerca. I fondi scarseggiano e avere accesso a risorse nazionali o comunitarie diventa sempre più competitivo. Dappertutto si ha una sovrastruttura burocratica che è spaventosa, questo inibisce soprattutto i giovani ricercatori ad intraprendere una carriera in questo ambito. Forse bisognerebbe snellire questo processo”.

Per Maffulli, nato a Napoli nel 1959 e laureato “cum laude” all’università Federico II, il futuro del sistema sanitario nazionale passa dal renderlo sempre più appetibile ai giovani. E questo non riguarda solo l’accesso a Medicina, ma “la ritrosia dei giovani medici. Non si tratta semplicemente di aumentare gli stipendi, perché non saranno mai così alti da poter motivare un giovane a rimanere nel sistema sanitario nazionale invece di prediligere il privato. Ci sono state delle proposte come la depenalizzazione dell’atto medico, il permettere ai giovani e ai tutti medici del sistema sanitario nazionale di poter intraprendere dell’attività privata al di fuori di quella pubblica. Di fatto questo è quello che già succede in altri Paesi, mentre in Italia è limitato dalla legge e questo contribuisce a dirottare dei giovani medici verso il sistema privato”.

Il primato come ricercatore più influente al mondo nel campo dell’ortopedia e della medicina dello sport emerge dall’ultimo aggiornamento del ranking della Stanford University, che valuta l’impatto scientifico dei ricercatori a livello globale, basandosi su Scopus, il database bibliometrico di letteratura scientifica curato dall’editore indipendente Elsevier. Scopus misura la produttività e l’influenza sulla comunità scientifica di oltre 200mila ricercatori di 22 diverse discipline, basandosi sul numero di pubblicazioni peer reviewed – sottoposte, cioè, alla valutazione critica di altri esperti – e sulle citazioni ricevute. L’analisi dei dati relativi al solo 2023 evidenzia per lo scienziato italiano oltre 5.200 citazioni negli studi del settore.

“Il riconoscimento è stato un po’ inaspettato – confida Maffulli -. Negli anni scorsi mi sono posizionato tra i primi cinque della classifica, poi gradualmente sono arrivato al secondo posto, ma non mi aspettavo di raggiungere il primo: davanti a me c’erano leggende dell’ortopedia. È stato estremamente piacevole, ma ovviamente una qualificazione del genere porta delle ‘responsabilità’, significa dover mantenere un profilo molto alto”.

Un riconoscimento che, dice il professore, riguarda la ricerca italiana in generale. “È all’avanguardia – spiega -. Io sono stato onorato di esserne un rappresentante che ha ottenuto un riconoscimento tanto importante. Certo, non bisogna mai sedersi sugli allori, anche in altri campi occorrerebbe stabilire delle collaborazioni in ambito internazionale per poter primeggiare. È esattamente quello che ho cercato di fare io da quando ho intrapreso la carriera di clinico e accademico”.

Il corpus scientifico di Maffulli comprende circa 1.900 articoli peer reviewed e 12 libri, con contributi in chirurgia ortopedica, traumatologia dello sport e biomeccanica. Il chirurgo e scienziato ha introdotto oltre 50 nuove tecniche chirurgiche, principalmente relative a ginocchio, piede e caviglia, e nel 2012 ha coordinato i servizi medici per le competizioni di judo e lotta alle Olimpiadi di Londra. Tra i suoi pazienti figurano alcuni membri della Royal Family britannica e calciatori come Thierry Henry e David Trezeguet.

“La famiglia reale? Sono persone deliziose – racconta -, con i piedi per terra, per nulla con la puzza sotto il naso, anzi, molto intelligenti, argute, piacevoli. Avere a che fare con sportivi di fama internazionale, invece, è sempre un po’ difficile perché non ci si rapporta solamente alla singola persona, ma a tutto l’entourage, che spesso non ha necessariamente a cuore la salute dell’atleta. Per loro, magari, la cosa importante è che ritornino a giocare il più presto possibile. La mia funzione è quella sì di rimetterli in sesto e farli ritornare alla loro attività, ma è anche quella di prevenire recidive. Se un trauma da sport, la prima volta, può essere semplicemente una goccia in un lungo percorso di carriera, delle recidive possono implicare la fine di quella carriera. Bisogna calibrare le aspettative dell’atleta con quelle delle persone che gli ruotano intorno e con l’esigenza di continuare a fare buona medicina”.

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