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Israele, dai siti nucleari al petrolio: ecco come Netanyahu colpirà l’Iran

Dall'Italia e dal MondoIsraele, dai siti nucleari al petrolio: ecco come Netanyahu colpirà l'Iran

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Tutte le opzioni sono sul tavolo, fa sapere l’esercito di Israele che prepara una nuova rappresaglia contro l’Iran per l’attacco del primo ottobre – il secondo dopo quello dello scorso aprile – con oltre 180 missili scagliati dalla Repubblica islamica. 

La risposta dello Stato ebraico ci sarà, ha assicurato il premier Benjamin Netanyahu, che ha tuonato: “L’Iran ha commesso un grosso errore e pagherà per questo”, mentre il portavoce delle Idf, Daniel Hagari, ha assicurato che “agiremo nel momento e nel luogo che sceglieremo”. In attesa dei contatti diretti tra Netanyahu e il presidente americano Joe Biden, il Pentagono temporeggia: “Stiamo certamente discutendo con loro della loro risposta, ma non farò supposizioni su quale potrà essere la risposta. Ma continuiamo a dialogare con loro”, ha detto la portavoce del Pentagono, Sabrina Singh, confermando gli stretti contatti tra Usa e Israele. 

Il punto è su quali obiettivi si concentrerà la risposta che secondo Michael Milshtein, direttore del Forum per gli studi palestinesi presso il Centro Moshe Dayan di Tel Aviv, sarà “plateale” e potrebbe “colpire porti, siti petroliferi o militari” o addirittura “il quartier generale dei Pasdaran”. 

 

Secondo altri osservatori, la rappresaglia israeliana potrebbe invece concentrarsi sui siti nucleari della Repubblica islamica, uno scenario che non trova il sostegno degli Stati Uniti, come ha chiarito Biden, confermando che ci sono discussioni in corso con gli israeliani sulla risposta all’attacco iraniano, che “deve essere proporzionata”.  

Un attacco per “distruggere il programma nucleare iraniano” è l’ipotesi preferita di chi in Israele, dopo i fatti del 7 ottobre, chiede di regolare una volta per tutte i conti con gli ayatollah. Tra questi l’ex primo ministro, Naftali Bennett. 

A favore di Israele, sostengono gli osservatori, giocano in questo momento due fattori. Da una parte la situazione negli Stati Uniti, dove il voto di novembre, giocoforza, assorbirà parte dell’attenzione in attesa del passaggio di consegne, con il nuovo presidente che si insedierà alla Casa Bianca solo a gennaio. 

Dall’altro lo sbandamento dei proxy iraniani, da Hamas a Hezbollah fino agli Houthi, che rendono la deterrenza di Teheran meno temibile. “Abbiamo la giustificazione. Abbiamo i mezzi. Ora che Hezbollah e Hamas sono paralizzati, l’Iran è esposto”, ha fatto presente Bennett. 

 

Sono essenzialmente due gli obiettivi che Israele potrebbe prendere di mira nel caso la valutazione di Tel Aviv portasse ad autorizzare raid contro il programma nucleare di Teheran. L’impianto per l’arricchimento dell’uranio a Natanz ed il centro di ricerca nucleare di Isfahan, già nel mirino della rappresaglia israeliana – su scala ridotta – di aprile. Ma si tratta di operazioni complicate, che richiedono ordigni ancora più potenti di quelli usati per uccidere a Beirut il leader di Hezbollah, Hassan Nasrallah. La maggior parte degli impianti nucleari dell’Iran, infatti, è posizionata in profondità nel sottosuolo, sotto le montagne. “Non è qualcosa che sarà facilmente accessibile per Israele dai cieli”, ha detto ad Al Jazeera Andreas Krieg del King’s College London. 

Secondo diversi osservatori, colpire i siti nucleari in risposta a un attacco che ha causato danni minimi potrebbe essere considerato sproporzionato. Inoltre un attacco di questo tipo ha il potenziale di spingere Teheran ad accelerare il suo programma nucleare per scoraggiare futuri attacchi sul suo territorio, ammesso che ne abbia davvero le potenzialità. “Se Israele risponde, noi risponderemo in modo più forte e duro”, ha messo in guardia da Doha il presidente iraniano, Masoud Pezeshkian. 

 

Altri potenziali obiettivi di Israele sono le basi navali iraniane, come quella di Bandar Abbas, la principale del Paese, e target riconducibili ai Guardiani della Rivoluzione. Da non scartare, secondo gli analisti, anche la possibilità che Israele cerchi di colpire al cuore l’economia già claudicante degli ayatollah prendendo di mira i giacimenti petroliferi, che sono aperti e meno sorvegliati dei siti nucleari.  

Colpire il redditizio settore petrolifero iraniano, magari bombardando raffinerie, in un momento in cui le autorità iraniane sono alle prese con una crescente pressione popolare per la drammatica situazione economica del Paese potrebbe giocare a favore di Israele anche da un punto di vista politico, ma in ogni caso scatenerebbe un impennata del greggio sui mercati mondiali, con tutte le conseguenze del caso. In ogni caso la risposta andrà ben calcolata se a Tel Aviv vorranno ancora mantenere il livello di scontro con Teheran sotto quello di un conflitto catastrofico. 

 

Indipendentemente dall’obiettivo, un nuovo raid è destinato a “costringere Teheran a reagire, innescando un ping pong di missili balistici che potrebbe spingere l’intera regione nell’abisso”, ritiene Ali Vaez, direttore dell’Iran Project presso International Crisis Group (Icg). 

Per Marc Owen Jones, analista della Northwestern University in Qatar, l’attacco dell’Iran è stato attentamente calibrato per evitare qualsiasi escalation, mentre la risposta di Israele è “imprevedibile”. Se Teheran non poteva più permettersi di “sembrare debole” di fronte agli attacchi israeliani ai suoi alleati nella regione – ritiene l’analista – la natura dell’attacco dell’Iran (l’uso di missili balistici, alcuni dei quali hanno superato il sistema di difesa aerea di Israele) significa che anche la risposta di Israele “dovrà essere molto più dura” rispetto ad aprile, per stabilire la propria deterrenza. 

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