Vino, Osservatorio Uiv-Veronafiere: nel 2023 fatturati Cantine -16%

Inversione di tendenza per colpa degli aumenti e della recessione
Verona, 7 nov. (askanews) – Dopo anni di crescita e lo straordinario “rimbalzo” fatto registrare quest’anno dopo il buio del Covid, nel 2023 i fatturati delle Cantine italiane potrebbero scendere in media tra il 10 e il 16%, e le vendite potrebbero tornare ai livelli del 2020. Lo prevede l’indagine congiunturale realizzata dall’Osservatorio dell’Unione italiana vini-Vinitaly che è stata presentata al convegno di filiera organizzato a “Wine2Wine”, la due giorni che si è aperta questa mattina a Veronafiere. Secondo lo studio, il surplus di costi registrato quest’anno dalle imprese italiane (1,5 miliardi, l’83% in più, derivanti dai soli aumenti dei prezzi energetici e delle materie prime secche, come tappi, vetro e carta) complicherà i bilanci 2022 delle imprese. A partire dal Margine operativo lordo, previsto quest’anno al 10%, in discesa rispetto al 25% del 2021 e peggiore anche dell’annus horribilis 2020, quando l’indicatore di redditività riscontrato era al 17%. Ma la vera doccia fredda sarà nel 2023: in uno scenario recessivo il Mol andrà in caduta libera (4%), con un fatturato, a -16%, che in molti casi non riuscirà a coprire costi in decremento (-11%) ma comunque relativamente alti. In termini monetari, la riduzione del Mol attesa per l’anno prossimo è di circa 900 milioni di euro, attestandosi così a 530 milioni di euro contro l’1,4 miliardi di euro del 2022 e i 3,4 miliardi del 2021. Relativamente al mercato, l’Osservatorio prevede per il 2022 una chiusura d’anno con vendite generali in calo dell’1% a volume (41,4 milioni di ettolitri), per un valore in aumento, grazie all’horeca e alla vendita diretta, del 6%, a 14,3 miliardi. Molto meglio l’estero sulla dinamica valoriale (+10% contro +1% del mercato italiano), mentre i volumi sono attesi stabili in Italia e in leggera contrazione sui mercati internazionali, in particolare Usa, Germania, ma anche Cina e ovviamente Russia. Il dato del valore – rileva l’analisi – non deve però trarre in inganno: l’incremento, del tutto inflattivo, del 7% sul prezzo medio non basta a coprire i costi, come dimostrato dalle richieste delle imprese alla distribuzione di aumentare i listini mediamente del 12%. “Veniamo da un 2022 in cui abbiamo combattuto con gli aumenti dei costi: abbiamo registrato un +30% della somma di tutti i costi, dal vino sfuso fino all’energetico, passando per i materiali di consumo, e la filiera ha cercato di scaricare verso la distribuzione aumenti del prezzo del 12%, e la distribuzione ha risposto con un 7% circa, quindi le imprese si sono dovute accollare un aumento dei costi a monte che non sono riusciti a travisare alla filiera” spiega ad askanews Carlo Flamini dell’Osservatorio Uiv, che ha presentato il report, aggiungendo “ora il problema è che andiamo verso uno scenario recessivo e quindi c’è da capire quale sarà l’ampiezza e quanto inciderà sui consumi, e quello che sarà il riverbero sulle imprese tenendo conto che a differenza dell’anno del Covid (il 2020), quando la spesa era congelata in casa, qui la spesa è alleggerita dal potere di acquisto”. Di fronte ad uno scenario come questo è quindi non solo necessario ma anche urgente rendere la filiera più performante . “Abbiamo dimostrato che alleggerendo la produzione, producendo da un vigneto un po’ meno vino, si ottiene un po’ più di qualità e si può presentarlo in maniera più remunerativa” continua Flamini, precisando che “significa agire sul potenziale, sulle regole che determinano i passaggi da vigna a denominazione, a vini Igt e a vini comuni, cercando di sfoltire tutto quello che è il prodotto in surplus che giace (il report calcola l’invenduto in circa 41 milioni di ettolitri, ndr) e crea disvalore anche al prodotto che viene venduto poi”. “Alleggerire la produzione passa anche attraverso una razionalizzazione delle denominazione d’origine che in effetti sono troppe, e i dati dimostrano che moltissime sono sulla carta e creano problemi a quelle performanti” prosegue Flamini, sottolineando che non è necessario eliminarle, ma “per esempio accorparle in quelle più grandi, facendo delle sottodenominazioni, delle menzioni speciali, spostare le soglie”. “Bisogna darsi delle regole nuove, per arrivare ad anni come il 2023 un po’ più preparati e non all’ultimo momento a fare strappi sui prezzi perché hai avuto aumenti a monte enormi e doverli ribaltare sulla distribuzione e sul consumatore che come si vede non riesce ad assorbire” continua, concludendo “il calo dei fatturati che calcoliamo sul mercato italiano riguarda anche quello dei quattro principali mercati esteri: abbiamo una congiuntura che dice, a parte la recessione, che il consumo mondiale di vino è su una linea di stabilità tendenzialmente in decrescita e noi continuiamo a produrre lo stesso volume. E questo è il nostro grande problema”.