ROMA – “L’inclusione dei bambini portatori di diversità rappresenta una ricchezza per l’intera società”. È questo, in estrema sintesi, il messaggio lanciato dalle istituzioni e da diverse associazioni nel corso dell’incontro dal titolo ‘Scuola e famiglia. Il valore dell’inclusione e dell’unicità’, promosso da Sanofi. L’evento si è svolto presso il Centro Studi Americani.
“Educare i giovani, ma anche gli adulti, al tema dell’inclusione è fondamentale- hanno fatto sapere gli esperti nel corso dell’evento- la malattia, qualsiasi essa sia, rischia infatti di diventare uno stigma. Per questo è importantissimo trasmettere il valore della condivisione, anche attraverso campagne educazionali nelle scuole, per riuscire a trasformare quello che potrebbe essere un momento difficile in un momento di consapevolezza”.
LORENZIN (PD): “DIVERSITÀ FA PAURA AD ADULTI, NON A BAMBINI. INCLUSIONE È RICCHEZZA, COINVOLGERE FAMIGLIE SU DIDATTICA E RELAZIONE A SCUOLA”
“Sono i genitori, oggi, ad avere paura della diversità e non i bambini. Sono stati fatti tantissimi passi in avanti, ma ancora oggi c’è un problema culturale”. Così la senatrice del Pd, Beatrice Lorenzin, intervistata dalla Dire a Roma in occasione dell’incontro.
“Da un lato- ha proseguito- bisogna accompagnare i genitori che ricevono una diagnosi di malattia all’accettazione di tale diagnosi, questo anche perché poi si apre anche un mondo di possibilità per tanti bambini di avere delle vite integrate e normali, compatibilmente con la propria patologia. Dall’altro lato, spesso nella scuola si trova la paura e la diffidenza non da parte degli altri bambini ma dei loro genitori, che hanno paura che in qualche modo possa essere compromesso il percorso didattico del proprio figlio, quando invece non è così. C’è un grande lavoro da fare”.
L’inclusione di bambini portatori di una diversità, secondo la senatrice, è “spesso un momento di ricchezza per tutti, per comprendere e per non avere paura della malattia, per capire le complessità della vita ed essere amici comunque”.
Questo forse è il più grande investimento che possiamo fare sui nostri bambini e sulla loro capacità di accettarsi. È così che si costruisce un mondo migliore, che poi è il fine per cui li educhiamo. Ma in che modo le istituzioni possono lavorare a questo?
“La prima cosa da fare è coinvolgere maggiormente le famiglie rispetto a quello che accade nella scuola- ha risposto Lorenzin alla Dire- non soltanto in termini didattici ma anche di relazione.
Per farlo, però, la scuola deve essere aperta anche negli orari in cui i genitori non lavorano; si può immaginare, per esempio, di organizzare il sabato degli incontri di approfondimento rispetto alle grandi sfide che le famiglie devono avere. Tra i temi da affrontare penso alla complessità dei social network, all’impatto sulla salute mentale dei figli oppure all’inclusione rispetto alla diversità. Sono tutte questioni per cui è la famiglia che per prima deve essere coinvolta in un processo di crescita. Tutti dobbiamo crescere insieme”.
Spesso, ha detto la senatrice del Pd, c’è un bisogno “enorme da parte delle madri e dei padri di avere informazioni, ma anche di essere aiutati e rassicurati in alcuni percorsi. A scuola, allora, si può costruire la comunità in cui si vive e quindi ritornare ad un tema di relazione personale, meno egoistica e più generosa. Questo perché ci troviamo a vivere in una società che ci spinge ad isolarci nella nostra bolla”.
Ultimamente, intanto, dei giovani ragazzi non si fa sempre una descrizione edificante: si parla spesso di bullismo da una parte o di isolamento sociale dall’altra. Sono davvero così i nostri giovani? “I ragazzi sono bellissimi. Chi ci sta insieme, o perché ha i figli o perché lavora con loro, trova una realtà meravigliosa.
I giovani sono spugne pronte ad assorbire tutto. È evidente, però, che se questi ragazzi sono un po’ lasciati a sé stessi, davanti ai tanti input che oggi tendono a sradicare la relazione tra persone e a isolarli, questo crea alla lunga e sta creando un problema sociale che va invece governato. In ogni caso non si tratta di un processo irreversibile- ha concluso Lorenzin- si può assolutamente tornare indietro, facendo le cose che sappiamo dover essere fatte”.
RUSSO (MIM): “GIOVANI AFFETTI DA MALATTIE UNICI, VANNO VALORIZZATI. PARALIMPIADI ESEMPIO DI COME DIVERSITÀ PORTI VALORE A SOCIETÀ”
“Il ministero dell’Istruzione e del Merito si occupa moltissimo di ragazzi che soffrono di malattie rare. E lo fa attraverso programmi di insegnamento in ospedale e presso le famiglie, investendo molte risorse e soprattutto contribuendo alla loro crescita personale anche attraverso la creazione di comunità inclusive”. Così Giovanni Russo, capo segreteria del sottosegretario al MIM, Paola Frassinetti.
“Tutto questo, naturalmente, si accompagna al patrimonio delle conoscenze che vengono trasferite in generale ai ragazzi- ha proseguito Russo- Di recente sono state emanate anche le Linee guida per l’educazione civica, un modo per aumentare la consapevolezza degli studenti su alcuni temi, come l’educazione al rispetto dei compagni, ma anche all’ambiente e degli animali, per prevenire fenomeni di devianza come il bullismo o il cyberbullismo”.
Secondo Russo, intanto, oggi più che mai bisogna spiegare ai giovani che “fuori c’è tutto un mondo da conoscere e scoprire e che chiudersi in sé stessi significa solo annullarsi. È necessario che questi ragazzi, unici e rari, siano valorizzati al massimo. Le Paralimpiadi- ha sottolineato- sono stato uno strumento enorme per veicolare non solo i valori dello sport ma anche il messaggio per cui le persone con disabilità possono portare valore, oltre che nelle competizioni sportive, all’intero tessuto sociale. L’inclusività è anche questo: saper sviluppare l’unicità di ciascun nostro ragazzo anche alla luce della patologia da cui eventualmente affetto”.
Tornando infine sul tema del bullismo tra i giovani, Russo ha risposto: “Gli episodi di bullismo sono quelli che fanno più rumore, ma nella nostra comunità scolastica nazionale ci sono tantissimi esempi di ragazzi straordinari, che riescono a fare cose eccezionali e fanno ben sperare per il futuro. L’obiettivo della scuola è proprio quello di valorizzare il talento di ciascun giovane. Questi episodi, per quanto statisticamente diffusi, sono delle eccezioni. La verità è che i nostri ragazzi hanno un potenziale immenso- ha concluso- tocca a noi adulti e poi alle istituzioni saperli valorizzare”.
FILIPPINI (SANOFI): EDUCARE GIOVANI A TEMA INCLUSIONE. MALATTIA RISCHIA ESSERE STIGMA, CONDIVISIONE VALORE DA TRASMETTERE”
“Siamo molto contenti di aver organizzato questa giornata, con la presenza di associazioni di pazienti, rappresentanti del mondo della scuola e istituzioni, perché il tema dell’inclusione, in particolare nel mondo dei piccoli, ci sta molto a cuore. L’obiettivo dell’incontro è stato discutere su come educare al tema dell’inclusione e dell’unicità nelle scuole, perché è proprio lì che crescono i nostri giovani del futuro”. Così Fulvia Filippini, Country Public Affairs Head Sanofi.
“Il tema- ha proseguito- rientra in tutta una serie di progettualità che noi portiamo avanti in questo ambito da tanto tempo, come per esempio la campagna educativa ‘Più Unici Che Rari’, che ha preso spunto dal tema delle malattie rare, area in cui noi siamo presenti da oltre 40 anni, per andare ad educare oltre 120mila giovani studenti sul tema.
Mi piace anche citare il diario ‘Una vita senza inverno’, che racconta l’esperienza di chi vive con anemia emolitica autoimmune da anticorpi freddi; abbiamo poi ancora tanti altri progetti sul tema della consapevolezza di cosa vuol dire vivere con una patologia. Un ultimo progetto che mi sta molto a cuore, per esempio, perché rientra nel valore della medicina narrativa, è il Premio Letterario ‘Angelo Zanibelli – La parola che cura’, l’unico premio letterario interamente dedicato alla salute, alle storie dei pazienti e ai loro familiari, basato sui racconti di come vivono la malattia. La condivisione, infatti, ha un fortissimo valore”.
La missione di Sanofi, dunque, è quella di “ricercare, sviluppare e mettere a disposizione dei pazienti farmaci innovativi, ma riteniamo fondamentale anche contribuire a momenti di questo genere”. Tante, dunque, le iniziative messe in campo da Sanofi rivolte agli studenti: ma che approccio hanno i più giovani con la malattia?
“I giovani sono sempre molto curiosi- ha risposto Filippini- quindi è molto importante far capire loro l’unicità anche del percorso di malattia, nel senso che ogni persona è unica e va rispettata per questo. La malattia rischia a volte di essere uno stigma, ma attraverso le campagne educazionali si riesce a trasformare quello che potrebbe essere un momento difficile in un momento di consapevolezza. Vediamo sempre un grande interesse per questo tipo di iniziative da parte dei giovani, delle scuole e del mondo istituzionale, per cui- ha concluso- siamo convinti di essere sulla strada giusta”.
MALATTIA FABRY, TOBALDINI (AIAF): “OGGI DIAGNOSI PRECOCE MA GIOVANI FATICANO A PARLARNE. NON SIA MOTIVO VERGOGNA CON COETANEI, CONFIDARSI FONDAMENTALE”
“La malattia di Anderson-Fabry è una patologia genetica ereditaria. Si stima che colpisca più o meno 1.000 persone in Italia, ma molte altre sono ancora alla ricerca di diagnosi e il numero sembra quindi essere sottostimato. È una malattia causata dal deficit di un enzima che si accumula nelle cellule, nelle vene e nelle arterie, causando dei depositi che, nel tempo, possono portare a compromissioni di organi importanti come cuore, rene e sistema nervoso”.
Così Stefania Tobaldini, presidente dell’Associazione Italiana Anderson-Fabry (AIAF). “Il dato sicuramente positivo è che oggi le diagnosi sono sempre più precoci-ha proseguito Tobaldini- questo ha portato i giovani ad acquisire una maggiore consapevolezza del proprio stato di salute, a dare un nome ai sintomi e, quindi, a gestire meglio la patologia”.
La malattia di Anderson-Fabry, intanto, non dà limitazioni funzionali e all’esterno non è visibile, per questo “si fa fatica a trasmettere agli altri quanto sia effettivamente gravoso conviverci- ha proseguito la presidente AIAF- è il motivo per cui spesso i ragazzi scelgono di non dire ai propri coetanei di avere una malattia genetica ereditaria. Un’arma a doppio taglio, questa, perché se da una parte rappresenta un’autoprotezione, dall’altra è anche un limite, che ci fa capire quanto ancora oggi sia difficile parlare di malattia”.
Tra le difficoltà vissute dai pazienti, anche l’imbarazzo sul luogo di lavoro “quando ad esempio ci si deve assentare per motivi legati alla patologia”, ma anche a scuola “quando magari c’è la necessità di giustificarsi per un esonero dall’attività sportiva o fisica”.
Qual è il messaggio che, in qualità di presidente dell’Associazione, vuole lanciare ai giovani pazienti e ai loro genitori? “Parlare della malattia è fondamentale- ha risposto Tobaldini alla Dire- non deve essere assolutamente un motivo di vergogna e non bisogna nascondersi. Siamo tutte persone uniche, abbiamo tutte il nostro ruolo all’interno del mondo e non è certo una patologia a fare di noi una persona con meno valore rispetto ad un’altra”.
PEDICINI (AISM): “DIAGNOSI SM È TERREMOTO, MA NON CAMBIA ESSENZA FAMIGLIA. IMPORTANTE TROVARE LINGUAGGIO ADATTO PER DESCRIVERE MALATTIA A FIGLI”
“La normalità non esiste, è l’unicità, al di là della condizione che si vive, che conta. Tutti noi siamo diversi. Più che cercare di inseguire un modello di normalità a cui ispirarsi, allora, credo sia più opportuno parlare di unicità della persona”.
Così Gianluca Pedicini, presidente Conferenza nazionale persone con Sclerosi Multipla (AISM).
“Cosa accade in una famiglia quando arriva una diagnosi di sclerosi multipla? Questa malattia investe tutta la famiglia- ha risposto Pedicini- non solo la persona a cui viene diagnosticata. È un terremoto, vengono coinvolti tutti. A partire dai figli, che iniziano a vedere comportamenti anomali da parte dei genitori e a capire che qualcosa non va. I genitori, nel frattempo, vanno avanti nel loro percorso fino a quando arriva il momento di dover descrivere ai figli che cos’è la sclerosi multipla e cosa sta accadendo”.
Per questo, per aiutare i genitori nella comunicazione della malattia, AISM insieme ai centri clinici mette a disposizione alcuni strumenti come i libri a fumetti, con un linguaggio adatto ai bambini che spieghi loro che cos’è la SM. “Ma l’obiettivo di questi fumetti- ha spiegato Pedicini- è anche e soprattutto quello di far passare il messaggio che la sclerosi multipla, a qualunque livello, potrà far cambiare le modalità di svolgere alcune azioni della vita quotidiana, ma non cambierà mai l’essenza della famiglia, né tantomeno i genitori e le persone che ne vengono colpite”.
La sclerosi multipla, intanto, può presentarsi anche in età pediatrica: “La ricerca ci dice che abbiamo forme di sclerosi multipla anche pediatrica, che riguardano attualmente circa il 7-10% del complessivo. Bisogna quindi trovare un linguaggio che sia in grado di spiegare ai più piccoli che cos’è questa malattia senza traumatizzarli e senza passare il messaggio che la loro vita sarà interrotta o non potrà più essere identica alle proprie aspettative. Oggi con la sclerosi multipla si vive, si lavora, si riesce ad avere una famiglia. Grazie alla ricerca, oggi, abbiamo tante frecce al nostro arco- ha concluso Pedicini- e la malattia fa meno paura rispetto a ieri”.
PICOZZA (ANDEA): “SCUOLA SI FACCIA CARICO BIMBI CON DERMATITE ATOPICA. HANNO CALO ATTENZIONE PER NOTTI INSONNI CAUSA PRURITO, DA INSEGNANTI OCCHIO RIGUARDO”
“La dermatite atopica in età pediatrica è molto diffusa, chiaramente le forme vanno da lieve a moderata fino a quelle più gravi, che hanno bisogno di un aiuto non soltanto da parte delle famiglie e dei caregiver ma anche delle istituzioni. In questo senso la scuola è di primaria importanza, poiché il bambino con dermatite atopica, con tutte le comorbidità che questa comporta, ha bisogno di una particolare attenzione”.
Così Mario Picozza, presidente FederASMA e Allergie e consigliere scientifico ANDeA (Associazione nazionale dermatite atopica).
“La dermatite atopica, con il prurito incessante, è davvero fastidiosa e può essere anche dolorosa- ha proseguito Picozza- questo porta i bambini ad una carenza di attenzione. Inoltre c’è il problema dello stigma, quindi del bullismo e dell’esclusione sociale, anche perché i bambini con dermatite atopica molto spesso hanno problemi a svolgere attività extra-scolastiche come lo sport. Questa malattia, infatti, ha la capacità di far aumentare il prurito mentre si fa uno sforzo fisico”.
Secondo l’esperto, allora, è “molto importante che le istituzioni scolastiche si facciano carico delle persone più in difficoltà, come anche i bambini con dermatite atopica. All’interno delle classi- ha sottolineato- sarebbe necessario istituire dei programmi per far conoscere la malattia ai compagni di scuola e spiegargli che non è contagiosa, per esempio, o che il loro compagno che ne è affetto è come tutti gli altri”.
Picozza ha quindi rivolto un messaggio agli insegnanti: “Serve una particolare attenzione da parte loro nel comprendere che il bambino con dermatite atopica può avere dei problemi legati alla stanchezza, perché può passare notti insonni per il prurito. Gli insegnanti, fin dal principio, dovrebbero avere un occhio di riguardo nei confronti dei bambini con problematiche in generale, ma stare attenti a chi ha la dermatite atopica, perché quella che potrebbe non sembrare una malattia che possa inficiare sul rendimento scolastico- ha concluso- invece lo è”.
L’articolo ‘Scuola e famiglia. Il valore dell’inclusione e dell’unicità’. A Roma l’incontro promosso da Sanofi proviene da Agenzia Dire.
Le notizie del sito Dire sono utilizzabili e riproducibili, a condizione di citare espressamente la fonte Agenzia DIRE e l’indirizzo https://www.dire.it