Sconfitte, procure e faide familiari: come si è rotta la Juventus?

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ROMA – “All”. Ma più che altro “nothing”. Quelli di Amazon Prime si staranno mangiando le mani: questo era il momento giusto per imbucare le telecamere nello spogliatoio della Juventus e farci una docu-serie. Sono ancora in tempo, volendo, per uno spin-off in stile Succession: Elkann contro Agnelli, la resa dei conti famigliare. Nel pieno della bufera plusvalenze, scritta come un copione nelle carte delle Procure (c’è di tutto, compreso la “merda che sta sotto non si può dire”, testuale), per tenere la misura dello scatafascio bianconero basta leggere La Stampa. Il quotidiano che appartiene agli Elkann non ha usato silenziatori, non ha ammorbidito i toni.

Senza temere danni collaterali, anzi forse innescandoli, ha fatto cronaca puntuale, e pubblicato più di un editoriale evocativo di ben altre battaglie. Gigi Garanzini, per esempio, oggi scrive che “se già non bastasse, sullo sfondo e sempre in attesa di giudizio, quella deliziosa botta d’immagine dell’esame di italiano di Suarez, vogliamo parlare del reality?”. Una operazione con “un solo precedente, tanti anni fa, nientemeno che al Cervia: con un campione del mondo, Ciccio Graziani, a sputtanarsi con gli occhiali colorati. Ma a chi sarà venuta in mente una roba del genere nel sancta-sanctorum della Juventus? E quante volte si sarà rigirato nella tomba Giampiero Boniperti, custode e garante della privacy bianconera a tutti i costi?”.

In queste ore si parla di un summit di John Elkann con la sua squadra di legali, per provare a gestire una situazione potenzialmente esplosiva: la deriva giudiziaria, amministrativa, contabile, e pure sportiva. Un attacco su più fronti e con mille possibile conseguenze. Nel frattempo Allegri va in conferenza stampa e dice, candido, che Andrea Agnelli – il cugino-presidente – ha parlato alla squadra e ai dipendenti, “ci ha tranquilizzati”. Attorno è tutto un affannarsi di ricostruzioni, per rintracciare il punto di rottura.

La Juve s’è scassata quando ha comprato Ronaldo, quando è andato via Marotta, quando s’è coscienziosamente adagiata sul “metodo Paratici”. Più o meno le tracce riconducono con una certa enfasi sempre alle stesse crepe. I maquillage finanziari, gli esami posticci per dare ad un possibile acquisto – Suarez – un passaporto nuovo di zecca, l’ostinazione a investire sui parametri zero, la girandola degli allenatori, tutti benedetti prima d’essere decapitati. Gli ultimi due o tre anni della Juventus sono un girone infernale di sbandate. Oggi la classifica ne trasmette il senso stesso di smarrimento ambientale. “La Juventus senza Champions non esiste”, ribadisce Allegri mentre si riferisce alla trasferta a Salerno come a un’impresa: avverte il vuoto, oltre quella siepe. Con la società impegnata a parare ben altri colpi. La squadra ha paura di infierire. Di dare un’altra mazzata, più evidente, ferale.

Che la tempesta fosse in arrivo era palese, a meno di non pensare che fossero un caso i documenti allegati a quelli relativi all’aumento di capitale da 400 milioni di euro da poco sottoscritto. Nero su bianco, la Juve ammetteva pubblicamente di temere l’impatto negativo “rilevante” sulla situazione economica, patrimoniale e finanziaria del Gruppo delle inchieste della Covisoc e della Figc. Documenti venuti fuori appena poche ore prima che scoppiasse il bubbone Procure.

Sempre con la stessa leva autolesionistica e un timing imbarazzante, la Juve aveva permesso ad Amazon Prime di sganciare la docuserie sull’intimità dello spogliatoio, con tutto il rivolo di estratti sugli sfoghi di Ronaldo, le cazziate vicendevoli. Una roba che tagliata e cucita bene è una sequenza di “siamo una merda”, “siete delle merde”, “giochiamo una merda”, “è stato un anno di merda”. Perfettamente rappresentativo dello stato dell’arte, il prodotto è scaduto in poche ore. C’è materiale pronto per almeno altre cinque stagioni, e un film.

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