Quaglia (Crt): “Patto di solidarietà tra Fondazioni e Comune a Torino”

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TORINO – Enti che promuovono la cultura, l’istruzione e il sociale nel territorio, ma non solo. Le fondazioni bancarie, che dagli anni ‘90 danno un proprietario alle banche trasformate in Spa, svolgono da un trentennio un’attività filantropica unica.

Alla vigilia delle elezioni comunali torinesi, in un’intervista alla Dire, un manager culturale d’eccezione, Paolo Verri, che ha diretto il Salone del Libro fino al 1997- e più di recente, nel 2019, ha diretto Matera Capitale europea della cultura- ha sollecitato una “cabina di regia” Comune-Fondazioni per evitare che ciascuno “vada per conto suo” e la città “non si riconosca” in un’unitarietà di interventi. Verri ha parlato di una perdita di spinta dell’azione culturale nella città dopo la crisi del 2008. “La cultura ha avuto uno sviluppo enorme tra il 1997 e il 2007”, mentre oggi “non c’è una vera condivisione, non c’è un luogo in cui tutti insieme si presenta cosa si vuole fare e dal quale si esce con un menù condiviso, che tutti conoscono”.

Nel dibattito interviene il presidente di Fondazione Crt, Giovanni Quaglia, che propone a sua volta la formula di un “’Patto della Solidarietà’ tra pubblico, business community e società civile organizzata con i suoi corpi intermedi”, in modo da “guidare i processi di crescita guardando al bene delle persone e della comunità”. 

Fondazione Crt ha contribuito al patrimonio artistico torinese, in particolare alle collezioni della Gam e del Castello di Rivoli, alla riapertura al pubblico di Palazzo Madama e ha ristrutturato le Ogr investendo 100 milioni di euro. Ma ha anche fornito aiuti sociali alla comunità, fornendo consulenze a famiglie e imprese a rischio usura. Quaglia è anche a capo dell’associazione delle 11 Fondazioni di origine Bancaria del Piemonte. Ecco le sue parole.

Presidente, come è cambiato negli anni l’approccio delle fondazioni?

Accanto ai più tradizionali modelli di granting, ossia le erogazioni, che hanno contribuito a sostenere i territori negli ultimi 30 anni, le Fondazioni hanno iniziato a esplorare le frontiere più recenti dell’impact investing e della venture philanthropy, per trasformare la creazione di profitto in creazione di valore sociale e ambientale attraverso progettualità sostenibili nel medio-lungo periodo. Con orgoglio posso dire che Fondazione CRT è stata pioniera in questo campo, guardando all’impatto – ossia ai benefici sociali tangibili e misurabili – nella prospettiva di una naturale ibridazione tra profit e non profit, che è l’orizzonte della filantropia istituzionale europea e statunitense del XXI secolo.

Come ha detto il direttore del Salone del Libro Nicola Lagioia, si è parlato poco di cultura nei programmi elettorali dei candidati sindaci: teme che, alla luce dei problemi di bilancio, sia ormai un compito troppo relegato alle fondazioni?

La cultura è da sempre nel Dna delle nostre città e del nostro Paese: è doppiamente strategica, sia perché innesca meccanismi virtuosi di crescita e sviluppo, sia perché contribuisce a ricostruire i legami di comunità e di socialità resi fragili dalla pandemia. Eppure, la cultura viene considerata a torto la Cenerentola tra gli asset di crescita e sviluppo, ricevendo flussi di risorse pubbliche in continua contrazione.

Analogamente, credo sia opportuno insistere anche sulla necessità di investire nella formazione di qualità, nelle competenze, nei giovani talenti, mettendoli in connessione con le imprese, i territori, le comunità, ed evitando che si disperdano all’estero: perché solo con un capitale umano forte si aprono prospettive concrete di rinascita.

Le Fondazioni di origine bancaria italiane, tra cui Fondazione CRT, sono attive su entrambi i fronti: basti pensare che, nel 2020, esse hanno destinato alla cultura oltre 220 milioni di euro (il 23% delle erogazioni) per circa 6.200 interventi e indirizzato altri 95 milioni di euro (il 10% delle risorse) per oltre 3.000 progetti di formazione. Sono cifre importanti, ma occorre moltiplicare gli sforzi e fare sinergia tra pubblico e privato.

La politica quale contributo può dare alle fondazioni? Soprattutto in termini di rapporto con il territorio.

La politica deve respirare con due “polmoni”, quello della visione strategica e quello della gestione quotidiana, esercitando appieno la sua funzione di regìa “dentro” le comunità, insieme e accanto alle persone: ai giovani, alle donne, agli uomini, alle famiglie, alle imprese, alle realtà associative, in tutte quelle reti di relazioni che si realizzano sul territorio e fanno di una somma di individui una “comunità”.

In sintesi: se le istituzioni elettive hanno il compito di programmare e progettare le traiettorie di sviluppo e crescita, le Fondazioni possono co-progettare e co-programmare, in qualità di aiuto-registi, mettendo in campo tre C – competenze, coraggio e capitali “pazienti” ma dinamici – per progetti che generino benefici sociali e ambientali.

D’altronde, anche una recente sentenza della Corte Costituzionale n. 131/2020 sul Terzo Settore ha riconosciuto alle Fondazioni questo ruolo, da esercitare assieme alle istituzioni e agli altri corpi intermedi.

Una cabina di regia che coordini a livello comunale il lavoro delle fondazioni, se ne rispetta l’indipendenza, può ottimizzare lo sforzo filantropico?

Abbiamo davanti sfide estremamente complesse – gli obiettivi dell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite, il Green Deal europeo, il PNRR italiano – che possono essere affrontate solo coordinando gli sforzi.

È tempo di un “Patto della Solidarietà” tra pubblico, business community e società civile organizzata con i suoi corpi intermedi, per riprogettare un futuro più sostenibile, green, innovativo, inclusivo, equo, attraverso la relazione quasi “simbiotica” tra persone, imprese e territorio. Insieme possiamo dare il via a una vera e propria fase costituente, per guidare i processi di crescita, sviluppo e coesione guardando al bene comune delle persone e delle comunità. Un ecosistema, dunque, in cui ognuno fa la propria parte, operando affinché il necessario incremento della competitività si accompagni al doveroso miglioramento delle condizioni di benessere e dignità per tutti.

Quali sono le prospettive future? Come cambierà il modello di filantropia?

Questa prospettiva si può sintetizzare, a mio avviso, nella formula ‘neo-personalismo comunitario’: dopo il dramma globale della pandemia, il nuovo mondo dovrà essere ri-costruito attorno a una diversa idea di società, in cui la persona è al centro, e la funzione di ‘terzo pilastro’ tra Stato e mercato è propria della comunità.

In questo modello positivo, fondato sul perfetto equilibrio tra la promozione della libertà, la dimensione della solidarietà e la categoria della responsabilità ‘molecolare’ intesa sia come rispondere di qualcosa, sia come prendersi cura del prossimo, la filantropia può svolgere una funzione strategica come “agente di sviluppo”, sperimentando forme di intervento più coraggiose rispetto al settore for profit e al settore pubblico.

Altra traiettoria futura della filantropia – e, certamente, della Fondazione CRT impegnata da tempo in questo campo –, è l’utilizzo dei Big Data e dell’Intelligenza Artificiale per il bene comune: una prospettiva che permette di identificare meglio i bisogni, indirizzare in modo più mirato gli interventi e misurarne l’impatto con un portafoglio di indicatori più ampio di quelli puramente finanziari, in modo da contribuire a ridurre le disuguaglianze sociali, culturali ed economiche, in linea con la nostra mission redistributiva.

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