Orari di lavoro stravolti e impossibili per una mamma, barista vince in Tribunale

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BOLOGNA – Contratto part time, ma orari “completamente diversi” rispetto a quelli previsti tanto da non riuscire ad accudire la figlia: la donna, una barista, ha fatto causa all’azienda e nei giorni scorsi il Tribunale di Bologna le ha dato ragione. A darne notizia è la Filcams-Cgil, che ha assistito la lavoratrice insieme alle avvocate Mara Congeduti e Sabrina Pittarello dello studio legale Piccinini.La donna, dipendente della Gvm future life che gestisce l’appalto di ristorazione nelle case di cura bolognesi Villalba e Villa Torri, “era costretta fin dal 2019 a svolgere la propria prestazione lavorativa secondo turni completamente diversi da quelli previsti in contratto”, scrive la Filcams in una nota: così “il mancato rispetto degli orari della lavoratrice, madre di una bimba di nove anni, aveva completamente stravolto la vita della nostra assistita, rendendole impossibile la conciliazione dei tempi di vita e lavoro e costringendola di fatto a scegliere fra l’accudire la propria figlia e il percepire un salario”.

ACCETTÒ QUEL LAVORO PROPRIO PER RIUSCIRE A FARE ANCHE LA MAMMA

Questo dopo che la donna, nel 2015, aveva accettato il lavoro “proprio in ragione di un orario che le avrebbe consentito di poter svolgere il suo ruolo di madre”, continua il sindacato. Il giudice, “constatati gli orari diversi con turni spezzati anche nelle giornate di sabato e domenica- riferisce la Filcams- ha ritenuto illegittimo il comportamento della società e nulle le generiche ‘clausole elastiche’ inserite nel contratto di lavoro e ha condannato la società al risarcimento del danno”.

NON ESISTE ‘ELASTICITÀ’ SENZA MISURA E SENZA IL CONSENSO DELLA PERSONA

Così la sentenza, andando oltre il caso specifico, per il sindacato “assume grande rilevanza per il principio generale che riconosce la possibilità di rendere nulle le ‘clausole elastiche’ in mancanza di specificità di condizioni, modalità, limiti massimi e distinto consenso della lavoratrice”. Principio che vale, “a maggior ragione- sottolinea la Filcams- anche in connessione con la condizione di lavoratrice madre della nostra iscritta, e dell’utilizzo spregiudicato del contratto part-time, proprio nei confronti delle donne”. A causa della disparità di genere “profondamente radicata nella nostra cultura e nel mondo lavorativo- commenta la sindacalista Daniela Dessì- precipitano nella condizione di lavoratrici povere una grande parte delle donne, che vivono in bilico tra la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro e sono dedite alla cura della famiglia in una percentuale di ore completamente iniqua rispetto agli uomini”.

“PER L’8 MARZO NON SOLO PAROLE”

Secondo la Filcams, “la battaglia per la parità di genere, nel mondo del lavoro, non può prescindere dal riconoscimento dell’attività di cura che incombe storicamente sulle donne e questa sentenza ne è l’esempio: il giudice ha riconosciuto il pregiudizio sulla vita della lavoratrice-madre derivante dalla articolazione spezzata degli orari di lavoro, unilateralmente determinata dal datore di lavoro e dalla assenza di una qualunque programmazione adeguatamente preventiva, che consentisse alla ricorrente di accudire la figlia minore”. Conclude il sindacato: “Ci avviciniamo alla celebrazione dell’8 marzo con la consapevolezza che le parole, senza i fatti, contano zero. Troppo spesso le lavoratrici madri sono costrette all’abbandono del lavoro, le statistiche riportano numeri impietosi. Le case di cura dove lavorava la nostra barista rappresentano il fiore all’occhiello di Bologna per l’assistenza ai ricoverati. Riteniamo quantomeno triste e contraddittorio che i lavoratori non siano al centro dell’interesse dell’impresa quanto gli ospiti-clienti”.

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