No time to die, l’ultimo capitolo di James Bond

Dopo un interminabile periodo di lockdown, continui slittamenti e attese che sembrava non avessero mai fine è giunto il momento dell’agente numero 007.

Il 30 settembre è approdato in sala No time to die, il film che chiuderà la fortunata saga interpretata dall’amatissimo e glaciale Daniel Craig, facendo così da spartiacque per una nuova era dedicata all’agente 007.

Per chi si chiedesse dove fossimo rimasti, nel precedente Spectre, Bond si trovava ad affrontare una spietata organizzazione criminale (la Spectre appunto), dai tratti invisibili e capillarmente inserita nelle più alte tecnologie.

In questo capitolo, l’ultimo per Daniel Craig nei panni di Bond, il regista Cary Fukunaga opta per una storia molto articolata, ma piuttosto semplice da seguire per uno spettatore medio.

No time to Die forte della sua coerenza, ci accompagna in quello che è un racconto lineare e comprensibile, abbandonando tutti quegli elementi aggiuntivi e alle volte fin troppo contorti che ricorrono in tutte le storie di spionaggio.

Un pregio che viene apprezzato sin da subito attraverso un incipit didascalico in cui si fa luce su una pagina dolorosa dell’infanzia dell’ultima Bond Girl, Medelaine (Lèa Seydoux). Un inquietante uomo avvolto da un’identità ignota uccide freddamente la madre della piccola Medelaine, ma decide inaspettatamente di risparmiare la vita della ragazzina.

A distanza di anni, la minaccia sanguinosa di quell’uomo (interpretato da un più che convincente Rami Malek) riaffiora dal passato, ma stavolta ha progetti molto più ambiziosi e rischia di mettere in serio pericolo migliaia di persone.

Se inizialmente la regia di Fukunaga strizza l’occhio ad un registro piuttosto sentimentale, nel corso del film non vengono di certo risparmiate quelle famose ed attese sequenze a base di spari ed inseguimenti, un cocktail di adrenalina che soltanto un film del genere può regalarci.

Perché alla fine ciò che rende unica questa saga è quel legame quasi perfetto tra scene di grandi effetti scenografici che mozzano il fiato e una fluidissima scrittura dei dialoghi, intelletto da una parte ed english humor dall’altra (non è un caso che dietro alla stesura di una larga parte della sceneggiatura ci sia anche il nome di Phoebe Waller-Bridge).

Un film importante No time to die, un gioiello per gli appassionati, determinante nel chiudere un cerchio, un’era, quella del fascino ammaliante e del ritratto old style dell’agente segreto, per fare spazio allo stesso modo, a qualcosa di nuovo e forse molto diverso. Staremo a vedere, ma nel frattempo lasciamo da parte il destino di Bond e corriamo al cinema.

Giada Farrace