Lo zio di Saman si difende dal carcere: “Mi hanno incastrato”

REGGIO EMILIA – “Siamo arrivati a casa e ho visto Saman morta sdraiata con il collo strano, stretto. Ho cominciato a urlare forte, a maledire tutti, a piangere, e ho perso i sensi. Quando mi sono risvegliato mi hanno dato dell’acqua e ho sentito che dicevano che era stata la madre”. Con queste parole Danish Hasnain, zio di Saman Abbas, descrive i momenti immediatamente successivi alla morte della 18enne pakistana (che è accusato di aver materialmente ucciso d’accordo con i genitori e due cugini) nella sera del 30 aprile 2021.

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È tutto nero su bianco nel verbale che il 32enne ha reso il 10 marzo scorso con il procuratore capo di Reggio Emilia Calogero Paci nel carcere reggiano, dove è detenuto dal gennaio dell’anno scorso. Hasnain, che ha indicato agli inquirenti dove scavare per ritrovare i resti di Saman, respinge al mittente le accuse di essere l’autore materiale del delitto: “Gli altri mi hanno incastrato perché sapevano che avrei parlato”, afferma.

“Non ho mai sospettato che volessero ucciderla, mai lontanamente”, ha aggiunto Hasnain. E ancora: “Io penso che mi abbiano chiamato perché volevano uccidermi per il mio buon rapporto con Saman ed ero d’accordo sulla sua relazione con Saqib. Poi non so perché non mi hanno ucciso”, anche se “a pensarci bene la buca era troppo grande per una sola persona”. Quanto alla frase “Abbiamo fatto un lavoro fatto bene” riferita alla moglie in una telefonata intercettata, l’imputato ha spiegato: “Si riferisce ai documenti. I documenti sono scritti bene e io posso stare qua”.
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