La fisica di Copernicus: “In Italia quanti svantaggi sul lavoro…”

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ROMA – Non solo norme: la parità tra uomini e donne non si raggiunge senza cultura. Anche in ambito scientifico. Nella giornata che l’Onu dedica alle donne nella scienza, l’agenzia Dire intervista Chiara Cagnazzo, manager dell’informazione di Copernicus. È lei la scienziata che legge i dati che arrivano dalle sentinelle in orbita intorno al nostro pianeta per trasformarle in informazioni utili nell’emergenza climatica. Una laurea in Fisica alla ‘Sapienza’ di Roma, un dottorato all’École polytechnique di Parigi, molte collaborazioni nel post-dottorato con diversi organismi di ricerca, Cagnazzo ha vissuto e lavorato in diversi Paesi, e sulle difficoltà di accesso per le donne nei posti di responsabilità qualche idea se l’è fatta. “All’università, nonostante noi donne fossimo in netta minoranza, non ho mai subito atteggiamenti discriminatori. Non è stato così nel mondo del lavoro. Ero in Francia quando sono rimasta incinta per la prima volta e il contratto mi assicurava piena copertura. Quando ho vissuto la seconda gravidanza ero invece in Italia: ho affrontato mesi di malattia che hanno portato all’interruzione del mio stipendio, immediatamente”, racconta. Altri ricordi: “Quando una delle mie figlie aveva 3 mesi mi spostai a Bologna per il post dottorato e lì iniziai subito il tempo pieno, niente riduzione dell’orario di lavoro. Il mio stipendio passava integralmente alla gentile signora che si occupava delle bambine”. Queste situazioni discendono da “un problema normativo, contrattuale, che cresce alimentato da un sostrato culturale, in Italia”, ragiona Cagnazzo. Un sistema che contribuisce ad allontanare le donne dai posti di responsabilità: “Anche in Germania funziona più o meno come in Italia, in Francia invece non è così. Oltralpe c’è una percentuale molto alta di donne che lavorano e che hanno responsabilità importanti. Credo che funzioni bene perché la nascita dei figli porta più soldi alla famiglia, per esempio con il taglio completo delle tasse”. 

“Non incoraggiare le donne significa perdere talenti”

In Europa, però, qualcosa si muove. “Aumentano le politiche dedicate al gender balance, ed è importante. Ma io la chiamerei, più che parità, diversità di genere. Non incoraggiare l’inserimento delle donne significa perdere una fetta importante di competenze, significa perdere talenti. Mantenere la diversità significa, invece, avere più creatività, poter contare su diversi punti di vista. Ho notato che nei gruppi di lavoro con una componente femminile importante è più semplice creare collaborazioni, per esempio. Se pensiamo poi alle società private che devono fare business, avere punti di vista diversi può significare maggiori profitti e credo anche che ci siano studi sul fatto che le aziende che garantiscono diversità di genere hanno maggiori profitti. Questo è forse verso soprattutto nei Paesi in cui la diversità di genere è un valore culturale. In Giappone le politiche familiari ci sono, ma poi culturalmente non viene dato valore alla parità, la normativa esiste, ma non si appoggia sul valore culturale; negli Usa invece norme e valori culturali vanno di pari passo”.

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Poche le donne nelle posizioni di potere

E in Italia? “All’università, nelle facoltà scientifiche, continuano ad esserci poche donne e andando avanti con la carriera il divario aumenta enormemente. Se da un lato non riusciamo ad attrarre le donne per iscriversi a materie scientifiche, dall’altro lato non riusciamo nemmeno a mantenere queste percentuali successivamente, soprattutto nelle posizioni di potere. Ho frequentato ambienti accademici e legati a società private e vi è una chiara rappresentanza maschile nelle posizioni di potere. Va meglio al Consiglio nazionale delle Ricerche (Cnr), dove ho lavorato per alcuni anni e ho notato che in alcuni istituti specifici vi è buona rappresentanza di donne in posti di potere”. 

Attenzione, poi, a gioire con troppa facilità se il divario tra ricercatori e ricercatrici si assottiglia: “Potrebbe darsi, è una mia idea, che le donne siano di più a fare ricerca perché gli stipendi sono bassi. Gli uomini non lo trovano interessante, como sbocco”. 

L’amore per la ricerca

L’Onu fa i conti e rende noto che, su scala globale, la percentuale di donne tra i laureati in materie Stem (scienza, tecnologia, ingegneria e matematica) è inferiore al 15 per cento in più dei due terzi degli Stati. Uno stimolo per seguire la strada della scienza può arrivare dall’esempio positivo di chi lo ha fatto prima, come Cagnazzo: “Io adoro la materia. Ho studiato Fisica e Fisica del clima e adesso mi occupo di estrarre informazione dai dati sul clima e trasformarla in conoscenza per settori sensibili ai cambiamenti climatici. Trovo molto motivante aiutare a comprendere e affrontare l’emergenza climatica. Mi ritrovo fortemente nell’ idea su cui è costruito il programma europeo Copernicus, cioè fornire dati complessi e informazione di qualità in maniera aperta a tutti i cittadini, e amo la sfida tecnologica legata alla gestione dei big data.  L’ambiente-conclude- è aperto multidisciplinare, si fa ricerca di alta qualità e amo il fatto che si continui ad imparare sempre”.

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