De Lise: “No alla scarcerazione dei boss mafiosi”

Il presidente dei Giovani Commercialisti italiani lancia l’appello ed esprime solidarietà al magistrato Catello Maresca

 

“L’ennesimo increscioso corto circuito normativo, approfittando delle misure introdotte nel decreto Cura Italia per contenere il contagio da Coronavirus, ha condotto alla nefasta conseguenza della scarcerazione ai domiciliari, per motivi di salute, di diversi boss della mafia al 41-bis. Si tratta di una situazione gravissima che non può passare in secondo piano: ci uniamo a chi in questi giorni ha denunciato con forza quanto accaduto esortando le autorità competenti a porre immediato rimedio, non consentendo ulteriori scarcerazioni ai detenuti al 41-bis e facendo ritornare in carcere coloro ai quali sono già stati concessi gli arresti domiciliari”. Lo ha detto Matteo De Lise (nella foto in basso), presidente dell’Ungdcec (Unione nazionale giovani dottori commercialisti ed esperti contabili), esprimendo la solidarietà dell’intero sindacato di categoria a Catello Maresca (nella foto in alto), Sostituto Procuratore Generale di Napoli.

“Noi siamo professionisti ma, prima di tutto, cittadini in difesa della legalità e contro le mafie – evidenzia De Lise -. In nome dell’emergenza sanitaria, ormai da circa 2 mesi, abbiamo imparato a convivere anche con il ricorso costante da parte del Governo alla decretazione d’urgenza, unica scelta possibile nel nostro ordinamento giuridico per introdurre, su scala nazionale, norme di immediata applicazione finalizzate a dare risposte celeri in materia sanitaria, economica, di pubblica sicurezza e non solo. Tuttavia, a causa della scarsa chiarezza con la quale sono stati redatti i decreti d’urgenza, tale obiettivo non può definirsi pienamente raggiunto! Il caos interpretativo che è seguito a ogni decreto emanato ne è la prova inconfutabile di quanto possa essere difficile in Italia dettare regole certe, che non necessitino di successivi provvedimenti attuativi ancor più complessi della norma stessa o, addirittura, forieri di paradossi giuridici e lacune che, troppo spesso, hanno disatteso le aspettative o gli annunci reboanti che hanno preceduto i vari decreti emanati. In un ordinamento giuridico di matrice civil law, però, la forma è sostanza e le sbavature possono divenire delle zone grigie in cui abilmente insinuarsi provocando delle ferite nella società ben più profonde delle, seppur gravi, disattenzioni nei confronti di talune categorie di lavoratori autonomi e imprese cui abbiamo dovuto assistere”.

“Tuttavia, se per tutte le altre storture normative ci siamo prontamente battuti per la loro correzione, di fronte ad un tale macroscopico “effetto collaterale” il primo sentimento che abbiamo provato è stato quello dello sconforto. Sconforto perché è incomprensibile come il nostro sistema politico e giudiziario, oramai assuefatto da una burocrazia asfissiante, non sia stato in grado di evitare che l’ennesima lacuna normativa, o maldestra interpretazione operativa, producesse una così dolorosa umiliazione nei confronti di un Paese che da anni combatte questi personaggi, anche grazie a persone che hanno perso la propria vita per contrastarli. Un’offesa insanabile verso chi ha lottato per l’arresto e la condanna di questi criminali ai quali, pur garantendo il diritto alla salute all’interno delle carceri, nessuna concessione in termini di ritorno alla libertà può essere tollerata.

Non si tratta di accanimento in quanto la misura detentiva, in risposta ai crimini dei quali si sono macchiati, è la logica conseguenza dell’affermazione dello stato di diritto in cui viviamo, cui va affiancato il principio della certezza della pena ed il rispetto per le vittime, e i loro familiari, che hanno pagato in prima persona le conseguenze delle azioni compiute da questa particolare categoria di criminali.

Come spesso accade, purtroppo, al danno rischia poi di sommarsi la beffa se si pensa al rischio concreto che il ritorno alla semi libertà di tali pericolosi boss possa ulteriormente rinvigorire le organizzazioni criminali di stampo mafioso, particolarmente attive in questo momento nel tentativo di sostituirsi al sistema dell’economica legale e, cosa ancor più grave, nel sostituirsi al ruolo dello Stato quale entità capace di soddisfare le esigenze di una comunità ottenendone in cambio, però, consenso ed omertà necessari per continuare a coltivare i loro affari illeciti e controllare ampie zone del nostro territorio.

Le cronache di questi giorni, purtroppo, raccontano del rifiorire del fenomeno dell’usura in sostituzione dell’accesso legale al credito, oppure della distribuzione di aiuti economici o alimentari da parte delle organizzazioni mafiose in luogo dei sussidi statali che stentano ad arrivare.

Il nostro più nobile sentimento è la speranza che il mondo in cui viviamo possa davvero cambiare e continueremo a lottare affinché ciò accada. La nostra cara Italia ha bisogno di questo, oggi più che mai!”.