Chiaravalle, il borgo dimenticato di Milano e le tre architette che chiedono di recuperarlo

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MILANO – Questa è la storia di Chiaravalle milanese, un borgo storico appartenente al territorio di Milano, che i residenti ritengono  “abbandonato” e che quindi chiedono non solo e non tanto di riportare ai suoi antichi splendori quanto più di “ricucire alla maglia della città” portandoci servizi essenziali. A far emergere il tutto e a raccontarlo alla ‘Dire’ sono tre architette specializzande del Politecnico di Milano, Ileana Iacono, Idamaria Sorrentino e Antonella Bellinetti, che, per la loro tesi, stanno lavorando a un piano integrato di intervento per il recupero e la valorizzazione del borgo dal punto di vista del paesaggio, della storia, della cultura, dell’artigianato locale e dei servizi. Il trio ha iniziato ascoltando i cittadini con un sondaggio diffuso grazie ai social e, nel frattempo, ha avviato un’interlocuzione con i tecnici del Comune di Milano quando a capo dell’assessorato competente (urbanistica, verde e agricoltura) c’era Pierfrancesco Maran (oggi alla casa e al piano quartieri, al suo posto Giancarlo Tancredi con la delega alla rigenerazione urbana).  A oggi l’interlocuzione con la nuova amministrazione non si è ancora sbloccata, spiegano le architette che, al momento, sperano di ricevere alcuni documenti essenziali in tempi brevi. Ma quello che più sperano, in fondo, è che Palazzo Marino comprenda che “questo borgo ha un’identità che non può andare perduta” perciò, sostengono, “dovrebbe investire non tanto per costruire nuove residenze” quanto per far funzionare meglio l’esistente.

Ma andiamo con ordine e raccontiamo la storia dal principio. Chiaravalle milanese è un borgo storico risalente al dodicesimo secolo, qui sorge la nota e omonima abbazia sormontata dall’iconico campanile che i milanesi chiamano ‘Ciribiciaccola’. Immerso nell’area protetta del Parco Agricolo Sud Milano, oggi conta un migliaio di abitanti (1061 secondo il censimento di Palazzo Marino aggiornato al 31 dicembre 2019) e afferisce al municipio 5 della città capoluogo, tra le zone di Vigentino e Rogoredo da un lato e il sud-est milanese direzione San Donato Milanese dall’altro. La sua annessione al Comune di Milano risale agli anni ‘20 del ‘900: secondo le tre architette, da qui sarebbe cominciata la progressiva “perdita d’identità” del borgo, processo la cui causa sarebbe imputabile a politiche di sviluppo che, sul piano urbanistico e paesaggistico, l’hanno trasformato sempre più in “quartiere dormitorio” e sempre meno in “comunità”. Colpo di grazia, ricostruiscono, è stato il piano regolatore generale del 1980 che ha decretato come residenziale la destinazione d’uso prevalente del borgo con l’aggiunta di qualche intervento di edilizia popolare.

Facendo un lungo salto arriviamo al 2019, quando le tre iniziano a lavorare alla tesi di specializzazione su Chiaravalle e un po’ alla volta prendono contatto coi residenti. I cittadini, un centinaio quelli raggiunti grazie al sondaggio, lamentano soprattutto una carenza strutturale di servizi. Innanzitutto, la scuola elementare ‘Sciesa’, chiusa ufficialmente per mancanza di iscritti, è una perdita “molto sentita”. Poi c’è il tema trasporti: il bus dell’Atm numero 77 che collega il borgo con Rogoredo, secondo i residenti, non è abbastanza frequente (ad esempio, basta una festa di quartiere che modifica la viabilità per rendere piuttosto avventuroso il viaggio verso Chiaravalle). Un disservizio, questo, che alcuni risolverebbero con “una navetta ad hoc” e, sempre ad Atm,viene chiesta l’apertura di una rivendita per agevolare chi non sa acquistare i biglietti online. C’è anche chi solleva il problema della mancanza di fibra per i collegamenti internet che, soprattutto in pandemia, ha complicato non poco la vita ai residenti. Così come l’assenza di un vero e proprio centro cittadino: la piazza ora è perlopiù “un parcheggio”, non un luogo di aggregazione, perciò qualcuno ha proposto “un cinema all’aperto” o un punto di ritrovo “per il mercato”, qualsiasi cosa pur di sentirsi “più comunità, più vicini”. Qualcun altro, invece, punta i riflettori sulla necessità di bonificare il laghetto, “attualmente ridotto a palude”, chiosano le architette. E l’elenco non è ancora finito. Specialmente le persone anziane chiedono un presidio sanitario permanente (“un medico di base, un ambulatorio, la guardia medica”) e possibilmente una farmacia aperta 24 ore: stando alle informazioni raccolte, infatti, sono molti i residenti che per le cure e le spese relative “preferiscono andare a San Donato in auto” piuttosto che restare in quartiere o spostarsi verso il centro di Milano coi mezzi pubblici. Idem i giovani che vorrebbero avere luoghi di socialità sottocasa; trasversale alle età, infine, sarebbe la richiesta di un polo culturale, una libreria o una biblioteca: “A Chiaravalle- rivendica un rispondente al sondaggio- esiste già una comunità colta che merita di essere interpellata perché si innestino interventi concreti e connessi con le realtà presenti”.

Alla domanda spontanea perchè tre architette non milanesi abbiano scelto di (come recita l’hashtag lanciato su Instagram) salvare proprio Chiaravalle, le tre rispondono senza esitazione: “Sin dalla prima visita, siamo rimaste colpite da questo paesaggio, con le marcite, le grange, le tecniche agricole dei monaci… Chiaravalle è romantica, promettente, magica” eppure “dimenticata, isolata, sottovalutata” ancorché abbia “un enorme potenziale”. Perciò “ce ne siamo innamorate e ce la siamo presa a cuore” a tal punto che vedere “le vecchie cascine, i vecchi granai, la vecchia edilizia sempre più sormontata dagli edifici nuovi o lasciata lì a deperire finché crolla” è diventato, col tempo, non solo un’ingiustizia ma anche un controsenso politico. C’è anche un paradosso nella loro analisi: l’abbazia, cioè, sarebbe un luogo di turismo talmente frequentato da oscurare il borgo. E qui scatta l’affondo: “Il problema è che qui lasciano andare tutto”. Ileana, Idamaria e Antonella pensano al lavatoio ottocentesco, ormai in rovina, annesso alla torretta novecentesca “che è stata abbattuta per far posto a nuovi edifici residenziali”; pensano al binario interrotto che “avrebbe dovuto diventare una pista ciclabile” e invece niente; pensano alla “grangia, una cascina coeva dell’abbazia che oggi è praticamente un guscio vuoto: abbandonata da almeno cinquant’anni- illustrano le tre che hanno studiato la storia del posto e continuano a monitorarne gli sviluppi- dal 2002 passa di mano in mano tra privati. Ora pare che diventerà una residenza con parcheggio e che solo la parte della struttura ancora coperta dal tetto sarà mantenuta e consolidata”. Tutto il resto, mura e grande cortile giù.

Ecco, allora, su quali basi si fonda il progetto di tesi (che forse ormai è qualcosa di più di un lavoro universitario). E chiaro ne è l’orizzonte: dare a Chiaravalle vitalità, visibilità, vivibilità e attrattività, recuperando gli spazi pubblici con il coinvolgimento di cittadini, associazioni, ente locale e soggetti privati. Dall’ascolto delle esigenze di cittadini e associazioni discenderà, infine, la proposta operativa da rivolgere al Comune di Milano: una proposta che, precisano da professioniste, deve essere “realizzabile e fattibile dal punto di vista legislativo e amministrativo”. 

Tanti i messaggi di ringraziamento e sostegno che le tre giovani stanno ricevendo sulla loro pagina Instagram @Chiaravallemilanese. Qualche residente, ormai affezionato, le contatta persino di domenica per sapere com’è stato per loro riabbracciarsi dopo tanto tempo, lontane come sono ognuna nella propria città: “Ciao, allora com’è andato il vostro incontro?”.

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